martedì 5 agosto 2025

Corso di storia della letteratura: Camus 1913

Albert Camus 1913


Albert Camus: l’uomo, l’opera, l’assurdo

Albert Camus nasce il 7 novembre 1913 a Mondovì, in Algeria, colonia francese segnata da tensioni sociali, disuguaglianze e conflitti culturali. La sua vicenda biografica è determinante per comprendere il suo pensiero. Figlio di coloni poveri, cresce con la madre analfabeta dopo la morte del padre nella Prima Guerra Mondiale: la sua formazione è dunque marcata da privazioni, dal silenzio materno e da un rapporto diretto con la durezza della vita quotidiana. Lontano dagli ambienti borghesi parigini, Camus rappresenta una voce periferica che conquista, passo dopo passo, un ruolo centrale nella letteratura e nel pensiero europeo del Novecento.

Studia filosofia ad Algeri, dove si avvicina ai grandi temi della condizione umana: il problema del male, la ricerca di senso, la tensione tra giustizia e libertà. Si interessa all’esistenzialismo, ma senza mai aderirvi completamente. Fin da subito avverte il rischio delle filosofie totalizzanti: ciò che lo caratterizza è la costante diffidenza verso le ideologie e il rifiuto delle consolazioni metafisiche.

Durante la Seconda Guerra Mondiale entra nella Resistenza francese e diventa redattore del giornale clandestino Combat. È qui che il suo pensiero si traduce in prassi: la scrittura non è evasione ma impegno, un atto di responsabilità. Dopo la Liberazione, Camus diventa uno degli intellettuali più noti del panorama europeo. Tuttavia, il suo cammino non coincide mai con le mode culturali dominanti. Critica il totalitarismo sovietico, ma anche il colonialismo francese in Algeria, guadagnandosi l’ostilità di più fronti. La sua voce resta isolata, proprio perché scomoda. Nel 1957 riceve il Premio Nobel per la Letteratura, a soli 44 anni. La sua vita si interrompe tragicamente nel 1960, in un incidente automobilistico: una fine assurda, che sembra quasi incarnare le sue stesse riflessioni sull’imprevedibilità del destino.


Il concetto di assurdo

Il nucleo centrale del pensiero camusiano è l’assurdo, ossia lo scarto irriducibile tra la sete di senso dell’uomo e il silenzio del mondo. Camus osserva che l’essere umano è naturalmente proteso a cercare ordine e significato, ma la realtà si mostra muta e indifferente. Da questo conflitto nasce l’esperienza dell’assurdo.

Quali possibilità restano? Camus le esamina ne Il mito di Sisifo (1942):

  • il suicidio è rifiutato, perché significherebbe abbandonare la lotta;

  • il salto religioso (alla Kierkegaard) è per lui un’illusione, una fuga nel trascendente;

  • l’unica risposta autentica è vivere l’assurdo, cioè accettare la mancanza di senso e, nello stesso tempo, ribadire la volontà di vivere pienamente.

L’immagine di Sisifo che spinge eternamente il suo masso diventa metafora dell’uomo moderno: condannato a una fatica inutile, ma capace di affermare la propria libertà proprio nell’atto di accettare e portare avanti la condanna.


Le opere narrative e filosofiche

  • Lo straniero (1942)
    Romanzo in cui il protagonista, Meursault, vive nell’indifferenza: non prova dolore alla morte della madre, uccide senza motivo un uomo e viene processato più per la sua inattitudine a conformarsi alle convenzioni sociali che per l’omicidio stesso. Il processo diventa una parabola dell’assurdo: la società condanna chi non recita il ruolo atteso. Qui Camus smaschera l’ipocrisia dei meccanismi sociali e giudiziari.

  • Il mito di Sisifo (1942)
    Saggio filosofico che esplicita la teoria dell’assurdo. Camus rifiuta ogni soluzione trascendente e propone la vita come atto di resistenza: “Bisogna immaginare Sisifo felice”.

  • La peste (1947)
    Ambientato a Orano, in Algeria, è un romanzo allegorico. L’epidemia rappresenta il male che invade la comunità: allusione diretta alla guerra e al nazifascismo. Il dottor Rieux, protagonista, incarna l’etica camusiana: combattere non perché la vittoria sia certa, ma perché la dignità dell’uomo lo esige. È un’opera che trasforma la filosofia dell’assurdo in solidarietà concreta.

  • L’uomo in rivolta (1951)
    Qui Camus amplia il discorso: dall’assurdo individuale alla ribellione collettiva. Critica il marxismo e le ideologie totalitarie, accusandole di sacrificare l’uomo concreto a un ideale astratto. La rottura con Sartre nasce da questo punto: mentre Sartre vede nella storia e nella politica la possibilità di emancipazione, Camus teme che ogni progetto assoluto degeneri in tirannia.

  • La caduta (1956)
    Monologo in cui il protagonista, Clamence, confessa la propria ipocrisia e il proprio fallimento morale. Opera più intima e cupa, testimonia il Camus della maturità: meno eroico, più disilluso, consapevole della fragilità costitutiva dell’uomo.


Valore letterario e filosofico

Camus non si riconosce mai del tutto nell’esistenzialismo di Sartre: se condivide il punto di partenza (l’assenza di senso, la libertà radicale dell’uomo), se ne distacca per la limpidezza e per l’assenza di costrutti teorici eccessivi. La sua scrittura, lineare e quasi classica, riflette una volontà di chiarezza che è già una presa di posizione etica.

La grandezza di Camus sta proprio in questa tensione tra filosofia e letteratura: i suoi romanzi non sono illustrazioni di teorie astratte, ma veri laboratori in cui i concetti si incarnano in personaggi e situazioni. Lo stile limpido, la sobrietà delle descrizioni, la capacità di tradurre problemi universali in vicende concrete lo rendono uno dei narratori più influenti del XX secolo.

Sul piano politico e morale, Camus ha il coraggio di restare “fuori dal coro”: denuncia le ingiustizie del colonialismo francese quando la maggior parte degli intellettuali tace, critica il comunismo sovietico quando è ancora ampiamente difeso in Europa, rifiuta di legittimare la violenza rivoluzionaria come mezzo di liberazione. Questa posizione lo rende un intellettuale isolato, ma coerente.


Eredità e attualità

Il pensiero camusiano mantiene una straordinaria attualità:

  • nell’epoca delle crisi globali, La peste torna a essere letto come metafora della fragilità delle società umane di fronte al male;

  • in un mondo segnato da ideologie e fondamentalismi, la sua critica agli assoluti rimane un invito alla misura e alla dignità;

  • la filosofia dell’assurdo, lungi dall’essere nichilista, si traduce in una forma di umanesimo tragico, fondato sulla consapevolezza del limite e sulla scelta della solidarietà.


Conclusione

Albert Camus è stato più di un romanziere e più di un filosofo: è stato un pensatore dell’esperienza vissuta, un intellettuale che ha saputo trasformare il dolore della condizione umana in coscienza critica e in impegno morale. La sua opera si colloca in un punto di equilibrio raro: tra letteratura e filosofia, tra lucidità e passione, tra disincanto e fedeltà alla vita.

Il suo lascito è duplice: da un lato, la lezione etica della rivolta come dignità; dall’altro, lo stile limpido e incisivo che rende accessibile anche il pensiero più tragico. In questo senso, Camus rimane uno degli autori più luminosi del Novecento: un uomo che, pur consapevole dell’assurdo, ha insegnato a dire sì alla vita.

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