venerdì 27 giugno 2025

Corso di storia della letteratura: Quasimodo 1901

Salvatore Quasimodo 1901

Salvatore Quasimodo vide la luce il 20 agosto 1901 a Modica, nel cuore assolato della Sicilia. Suo padre, capostazione, lo trascinò fin da bambino in un continuo andirivieni tra paesi e paesaggi isolani: binari assolati, mari lontani, colline di pietra e vento. Quel nomadismo infantile, fatto di partenze e arrivi, di stazioni sospese nel silenzio e di cieli che cambiavano colore con le stagioni, lasciò un’impronta profonda nella sua anima e nei suoi versi futuri.

Dopo aver frequentato la scuola tecnica, Quasimodo si iscrisse a ingegneria tra Roma e Palermo. Ma le formule e i calcoli non riuscirono mai a eguagliare il richiamo della poesia. Il giovane Salvatore, inquieto e sensibile, comprese presto che il suo destino non si sarebbe compiuto sui ponti e sulle strade progettati sulla carta, ma tra le righe di un quaderno e i silenzi pieni di parole non ancora dette.

Nel 1930 si trasferì a Firenze, città che in quegli anni era un crocevia di intellettuali e artisti. Fu qui che incontrò il gruppo dell’ermetismo, un movimento poetico che predicava una scrittura essenziale, rarefatta, quasi misteriosa, fatta di immagini simboliche e di suggestioni più che di spiegazioni. La sua prima raccolta, Acque e terre (1930), fu un esordio folgorante: poche parole, pesate come pietre preziose, capaci di aprire squarci sull’invisibile.

Oltre a scrivere, Quasimodo si dedicò alla traduzione, riportando in vita in lingua italiana la voce di grandi autori dell’antichità: Omero, Sofocle, Virgilio. Non si limitava a trasporre il testo: cercava di restituire il ritmo, il respiro, l’anima di quelle parole lontane, rendendole di nuovo vive e moderne.

Poi venne la Seconda guerra mondiale, e con essa un cambiamento profondo. La poesia di Quasimodo smise di essere soltanto un’introspezione interiore e diventò un grido civile. Dal 1945 in poi, i suoi versi si aprirono alla realtà storica: Giorno dopo giorno (1947) e Alle fronde dei salici sono esempi potenti di questa svolta, in cui la tragedia collettiva della guerra si intreccia al dolore personale.

La sua carriera proseguì con raccolte come La vita non è sogno (1949), Il falso e il vero verde (1956) e Dare e avere (1966), ultima sua opera, in cui tornò a riflettere sul senso dell’esistenza, intrecciando memoria e bilanci di vita.

Il 1959 fu l’anno della consacrazione: Quasimodo ricevette il Premio Nobel per la Letteratura, con la motivazione di aver “interpretato con ardente classicità i tragici sentimenti della vita del nostro tempo”. Era il riconoscimento di una voce che aveva saputo unire due anime: quella raffinata e simbolica dell’ermetismo e quella intensa e diretta della poesia civile.

Morì a Napoli il 14 giugno 1968, lasciando dietro di sé un’eredità poetica di straordinaria forza. La sua influenza si avverte ancora oggi: nei suoi versi si ritrova la solitudine dell’uomo moderno, ma anche un filo di speranza, una ricerca di senso che non si arrende mai.

Le due stagioni della sua poesia

  • Fase ermetica (1930-1942) – Acque e terre (1930), Oboe sommerso (1932), Erato e Apòllion (1936), Ed è subito sera (1942). Qui domina il simbolo, il verso breve, la concentrazione di senso e immagine.
  • Fase dell’impegno civile (dal 1945 in poi) – Giorno dopo giorno (1947), La vita non è sogno (1949), Il falso e il vero verde (1956), Dare e avere (1966). Qui emergono la storia, la guerra, la giustizia sociale.

Il lascito
Quasimodo è ricordato come uno dei massimi poeti del Novecento. Seppe dare voce tanto al mistero dell’interiorità umana quanto alla rabbia e alla compassione per le vicende collettive. La sua poesia è una lente che ingrandisce il dolore e la bellezza del mondo, trasformandoli in musica e memoria.


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